Conosci qualcuno che subisce violenza o tu stessa sei vittima di violenza? Rivolgiti a noi per trovare subito il giusto aiuto. Siamo sempre a tua disposizione. Contattaci

Affidamento paritetico, la Garante infanzia sul Ddl 832: “È adultocentrico e scoraggia la natalità”

«Nel disegno di legge sull’affido condiviso pare registrarsi un arretramento rispetto a un’attenta valutazione dei diritti dei bambini, con il rischio che prevalga una prospettiva di tipo adultocentrico». Non è positivo il giudizio della neo Garante per l’infanzia e l’adolescenza, Marina Terragni, sul Ddl 832 all’esame della commissione Giustizia del Senato. Nella prima, attesa audizione sul Ddl che si è svolta il 9 aprile, Terragni, nominata lo scorso gennaio con determinazione dei presidenti di Camera e Senato in avvicendamento con Carla Garlatti arrivata a fine mandato, ha analizzato il testo punto per punto denunciando molte criticità.

Quale bigenitorialità?

La prima sta nel concetto stesso di bigenitorialità, obiettivo dichiarato del provvedimento. Perché, ha spiegato la Garante, nell’introduzione si fa riferimento alla “Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori” introdotta dall’Autorità nel 2018, ma il concetto di bigenitorialità espresso «in quella Carta non sembra però corrispondere all’idea di bigenitorialità del Ddl». Lì – ha sottolineato – «la bigenitorialità, ovvero la possibilità che in caso di separazione il minore possa mantenere efficaci ed armoniosi rapporti con entrambi i genitori, è nella chiave dell’interesse del minore, sempre superiore rispetto a quello degli adulti. Un abito su misura cucito di volta in volta, caso per caso e con tutta la necessaria flessibilità a vantaggio dei figli, e non un diritto dei genitori a una spartizione perfetta o quasi perfetta, due vite, due case. La Corte di Cassazione lo precisa: affido condiviso e bigenitorialità non coincidono necessariamente con eguali tempi di permanenza con ciascun genitore».

Invasivo l’obbligo di doppio domicilio

«Eliminando il concetto di residenza abituale e stabilendo l’obbligo di domicilio paritetico in due case – ha continuato Terragni – oltre a operare un’invasione dello Stato nella sfera privata, in violazione della Convenzione per la Salvaguardia dei diritti dell’uomo e del Cittadino del 1950 che sancisce che “Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza”, la modifica travolge l’istituto dell’assegnazione della casa familiare intesa come l’abitazione presso la quale si è svolta la vita della famiglia durante la convivenza, l’habitat domestico centro degli affetti e delle consuetudini». In sintesi, come già rilevato su queste pagine, «imponendo due domicili in modo paritetico si nega il diritto del minore a godere di un centro e di un habitat definito. Quindi la destinazione della casa familiare appare come il centro del Ddl».

Il pericolo degli automatismi

Torna il fraintendimento del principio di bigenitorialità. «Sempre nell’introduzione – ha detto Terragni – si menziona l’ordinanza 26697/2023 della Corte di Cassazione là dove afferma che “il regime legale dell’affidamento condiviso (…) deve tendenzialmente comportare, in mancanza di gravi ragioni ostative, una frequentazione dei genitori paritaria con il figlio”. Ma si omette significativamente di citare il passaggio successivo – che sposta decisamente l’asse del discorso – dove si dice “che tuttavia nell’interesse del figlio il giudice può individuare un assetto che si discosti da questo principio tendenziale, al fine di assicurare al minore la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita”. E ancora, che “il diritto alla bigenitorialità è anzitutto un diritto del minore prima ancora dei genitori” e che il diritto del singolo genitore a realizzare e consolidare relazioni e rapporti continuativi e significativi con il figlio minore (…) assume carattere recessivo” se il diritto del minore “non sia garantito”».

Quindi, ha ricordato la Garante, «la giurisprudenza della Suprema Corte in armonia con la normativa sovranazionale, ha sempre escluso l’automatismo “affidamento condiviso= tempi paritetici” dovendo caso per caso il giudice verificare quale sia la soluzione che meglio realizzi il miglior interesse del minore».

Il passo indietro sull’ascolto dei minori

L’audizione cade nella Giornata nazionale dell’ascolto dei minori. Anche su questo fronte, per Terragni, «si registra un arretramento rispetto alla normativa nazionale (riforma Cartabia) e internazionale che impone un’attenta valutazione del volere dei bambini nei provvedimenti che li riguardino. Il rischio dunque è una prospettiva prevalentemente adultocentrica». Il doppio domicilio «comporta un aggravio di sofferenza per minori già provati dal disgregarsi del nucleo familiare con la perdita dei riferimenti garantiti da una continuità abitativa, con lo sradicamento dai luoghi abituali, dagli amici, con la fatica e lo stress di una vita sdoppiata in due case magari lontane fra loro. Il minore non può diventare soggetto-oggetto nei cui confronti gli adulti rivendicano posizioni di diritto».

Ancora la Cassazione parla (sentenza n. 9764/2019) di «presenza comune nella vita del figlio» che sia tuttavia «idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita». «Superiore interesse del minore – ha scandito la Garante – è restare nella casa in cui è cresciuto, anche se in seguito alla separazione niente sarà più come prima». Qui Terragni ha citato la Consulta dei ragazzi di cui l’Authority si avvale: «Riguardo alle separazioni i ragazzi dicono che “i figli possono anche fare sacrifici per stare con i genitori, ma si aspettano che i genitori non stravolgano la loro vita, che consentano di mantenere inalterate, per quanto possibile, le loro abitudini”. E dicono che ogni caso è a sé e va valutato dal giudice nella sua singolarità, senza standardizzazione da parte della legge, anche ascoltando i minori, e per ascolto si intende anche la capacità di leggere segnali non verbali, disegni, comportamenti, rendimento scolastico eccetera, compito che richiede un’alta specializzazione».

Bambini come pacchi postali

In collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore l’Autorità ha pubblicato il libro “Perché proprio a me? La separazione vista dai bambini”. Terragni legge dal volume le parole di Lorenzo, 9 anni: «Mi sento come un pacchetto postale, girando tra le due case». Ecco, per la Garante «la norma del doppio domicilio paritetico limita il giudice nella sua valutazione autonoma caso per caso». Ma il Grevio «ha stigmatizzato il fatto che in Italia spesso il giudice decide già troppo poco, basando le sue decisioni sulle Ctu (consulenze tecniche d’ufficio, ndr), mentre la parte valutativa deve tornare nelle sue mani».

L’unicità del rapporto madre-figlio e il no al paritarismo ideologico

Quanto poi ai bambini piccoli, «la pratica del doppio domicilio è semplicemente impensabile», ha affondato Terragni. «Allattamento a parte, che è senza dubbio superiore diritto del minore, come insegna la neuropsichiatria infantile ogni essere umano nei primi tre anni di vita è impegnato in un corpo-a-corpo con la madre finalizzato alla separazione-individuazione, processo che tutti noi abbiamo affrontato per passare dal sentirci un tutt’uno indifferenziato con la madre alla realizzazione di un nostro sé separato e autonomo. La bigenitorialità – afferma – non può essere intesa come paritarismo che occulta la realtà della differenza sessuale e in particolare la profonda e ineliminabile differenza tra il ruolo materno e quello del padre, differenza che conosciamo tutti. Il legame tra la madre e il figlio è il nucleo autentico della famiglia e della comunità umana. Il che non equivale a minimizzare il compito del padre e a disconoscerne i diritti, ma a prendere atto della differenza tra le donne e gli uomini che si basa su leggi di natura indisponibili alla legiferazione umana».

«Basti considerare – ha sostenuto ancora la Garante, rivolgendosi direttamente a senatrici e senatori – il fatto che una donna può decidere di essere madre anche in solitudine, qualunque cosa legittimamente si pensi di questa scelta: lo dico in modo del tutto avalutativo e vi invito a considerare l’oggettività. Mentre essere padre single comporta una serie di manovre biotecnologiche che una recente legge, quella sul cosiddetto utero in affitto reato universale, ha nettamente e giustamente stigmatizzato».

Ignorato il gap su occupazione e retribuzione, così si scoraggia la natalità

«La bigenitorialità intesa come occultamento della differenza – ha continuato Terragni – rischia dunque di affermare un paritarismo ideologico a cui tuttavia nel medesimo Ddl non corrisponde poi il riconoscimento di una semplice parità di opportunità quando, mettendo sullo stesso piano il padre e la madre dal punto di vista del contributo economico per il mantenimento dei figli, non tiene conto del gap a livelli di occupazione e di retribuzione. Se è vero che stiamo registrando un record di occupazione femminile, è vero anche che il gap continua a esistere».

La Garante ha segnalato dove si annida il pericolo: «Eliminando l’assegno di mantenimento per i figli per passare, con il collocamento paritetico, al mantenimento diretto addirittura “per capitoli di spesa”, con un mini-bilancio, da parte di ciascun genitore durante la permanenza presso di lui, oltre a una casa più confortevole e una meno, potremo avere livelli di vita e di consumi da una parte più alti e dall’altra meno, con tutto ciò che ne consegue diseducativamente, anche questo in violazione del superiore interesse del minore e a vantaggio dell’adulto economicamente più forte».

Di più: «Al compimento della maggiore età e in caso di non autosufficienza economica, cioè praticamente sempre, il Ddl riconosce la contribuzione diretta al figlio che difficilmente riserverà all’auto-mantenimento la somma percepita, impegnandola in attività più voluttuarie e aggravando ulteriormente il peso economico per il genitore più debole. Questa oggettiva disparità quasi sempre a svantaggio della madre comporta il rischio prospettico che quel sì, quel fiat con cui ogni donna accetta di diventare madre e senza il quale non vi è nascita a fronte di simili condizioni diventi sempre più raro. E allora non c’è piano di natalità che tenga, e conosciamo bene le dimensioni del problema della caduta delle nascite».

«Insostenibile» la pre-mediazione obbligatoria

«Sul punto della mediazione – ha annunciato Terragni – il mio ufficio sta per pubblicare un articolato studio realizzato con il contributo di una commissione formata dai maggiori esperti e finalizzato a diffondere la conoscenza di un istituto ignoto ai più e che i tribunali purtroppo offrono a macchia di leopardo». La mediazione familiare può costituire un’opportunità preziosa con un’importante riduzione dei costi economici, umani e sociali delle separazioni laddove non si siano ancora prodotte conflittualità insanabili.

Ma i requisiti irrinunciabili perché possa funzionare – ha rammentato – sono almeno due: l’assoluta volontarietà e la certezza che non vi sia un pregresso di violenza: la riforma Cartabia ha precluso la possibilità di mediazione anche solo in presenza di allegazioni di violenza, così la Convenzione di Istanbul. Il giudizio è, dunque, perentorio: «L’idea di una pre-mediazione obbligatoria non è sostenibile. E nei casi di allegazione di violenza non è difficile che una delle due parti non ottemperi».

Coordinatore genitoriale proposta problematica

Anche la proposta di una nuova figura terza, quella del coordinatore genitoriale, è per la Garante «problematica, anzitutto per il fatto che non si tratta di una figura professionalmente regolamentata, ma anche perché sarebbe nei fatti un nuovo passaggio di mediazione. Non si fa inoltre alcun riferimento a un divieto di inserire il coordinatore genitoriale nei casi di violenza, tema su cui insisto perché è tenuto in ombra nel Ddl»

L’introduzione di nuove figure terze, che si aggiungono ad assistenti sociali, consulenti tecnici, mediatori, e ovviamente legali, inoltre, «comporta il rischio di allungare i tempi dei procedimenti e di aumentarne i costi – perché la mediazione è a pagamento, e un primo incontro gratuito non risolve nulla- esasperando i conflitti e aumentando mole e durata dei contenziosi, con evidenti danni anche per i minori». Non solo. Per le figure terze «è sempre più urgente una formazione specifica per tutti professionisti che in tribunale abbiano a che fare con minori. Quando vi siano allegazioni di violenza -psicologica, economica, fisica- si sa che il Ctu deve operare nel rispetto della Convenzione di Istanbul, ma in un’indagine empirica realizzata qualche tempo fa e del cui coordinamento scientifico faceva parte tra gli altri Fabio Roia, attuale presidente del Tribunale di Milano, si è rilevata la propensione dei Ctu a far prevalere la bigenitorialità come dogma, anche declassando la violenza a ordinaria conflittualità e dando spesso scarso credito alle parole del minore. Alcuni Ctu hanno perfino ammesso di non sapere che cosa sia la Convenzione di Istanbul».

Tema della violenza domestica «sottaciuto»

«Insisto sul tema violenza domestica – ha specificato Terragni – perché sostanzialmente sottaciuto nel Ddl che non sembra tenere conto della normativa nazionale e internazionale nonché della recentissima ordinanza della Cassazione n. 4595 del 21 febbraio 2025, che attesta che “il tribunale civile non può trascurare le allegazioni di violenza al fine di valutare nel caso concreto il best interest del minore nonché l’idoneità del genitore a svolgere adeguatamente il suo ruolo”. Mentre prevale l’idea, in ossequio all’osservanza del principio della bigenitorialità perfetta, che anche un genitore violento può essere un buon genitore, che un conto è la violenza e un altro la capacità genitoriale, anche se sia Grevio sia la riforma Cartabia affermano che un genitore violento non può essere un buon genitore».

Il fantasma della Pas

Vi è poi nel Ddl una norma di modifica in cui si sostiene che «il giudice può per gravi motivi ordinare che la prole sia collocata presso una terza persona, preferibilmente dell’ambito familiare o, nell’impossibilità, in una comunità di tipo familiare», ovvero in casa famiglia.

Ha rilevato la Garante per l’infanzia: «La norma non qualifica quali siano questi gravi motivi, la cui individuazione viene delegata alla discrezionalità del giudice. Ma nell’introduzione si menzionano “situazioni ostative costruite ad arte”, espressione dietro la quale continua ad aleggiare il fantasma della cosiddetta Pas, Sindrome di alienazione parentale, costrutto stigmatizzato più volte dalla Corte di Cassazione come ascientifico e il ricorso al quale è vietato anche dalle raccomandazioni delle Nazioni Unite, ma che continua a orientare esiti di procedimenti in una girandola di nuove definizioni che non ne mutano la sostanza». Di nuovo «in violazione del suo diritto di essere ascoltato in ogni procedimento che lo riguardi, il minore viene troppo spesso ritenuto incapace di esprimere una sua propria volontà e manipolato da un genitore ostativo».

In arrivo ampia ricerca sul maltrattamento dei minori

Il prossimo 11 giugno presso la presidenza del Consiglio dei ministri – ha infine informato Terragni – l’Autorità garante per l’infanzia presenterà «una delle ricerche più ampie mai realizzate in Italia sul tema del maltrattamento dei minori, con una copertura totale, in senso statistico, della popolazione minorile nel nostro Paese, in cui si evidenzia tra i focus principali quello della violenza assistita. Se ne può dedurre – conclude – che il numero di separazioni alla base delle quali vi è violenza, per non parlare del sommerso, è considerevole. Proprio per questa ragione non si può non rilevare la sottovalutazione del fenomeno nell’articolato del Ddl».

Le reazioni dei parlamentari

«Non condividiamo le affermazioni del Garante oggi in audizione per la quale solo il legame tra la madre e il figlio è il nucleo fondativo della famiglia», ha commentato in una nota la capogruppo della Lega in commissione Giustizia, Erika Stefani, che ha invitato Terragni a «a essere prudente» in tema di affidamento condiviso perché «il primo diritto dei bambini è quello di avere accanto sia la mamma che il papà». «Pur riconoscendo la centralità della mamma nella vita di un bambino, sorprendono queste dichiarazioni perché sia il padre che la madre hanno un ruolo fondamentale nella crescita e nella formazione di un figlio» ha sottolineato la ex ministra del Carroccio.

Dalle domande poste in audizione si evincono i dubbi dei senatori. «Si ha l’impressione – ha detto Walter Verini (Pd) – che il supremo interesse del minore che finora ha informato i provvedimenti dei magistrati rischi di attenuarsi se non addirittura di sparire davanti al principio della perfetta bigenitorialità e della pariteticità. Inoltre non si esplicitano i gravi motivi per i quali i minori possono essere affidati a terzi o in casa famiglia. Non sarebbe bene per non lasciare la discrezionalità definire la specificità di questi motivi, così da evitare interpretazioni diverse e pericoli per l’interesse dei minori?».

Il relatore Pierantonio Zanettin (Forza Italia) ha da un lato convenuto sul fatto che la mediazione familiare «in tanti casi comporti aggravi di costi molto elevati a carico delle famiglie, per compiti che i bravi avvocati sono in grado di svolgere loro», dall’altro invitato a porre l’attenzione su un «istituto innovativo», ossia sugli «obblighi previsti nel caso del coniuge debole, non tutelato». Il riferimento è all’articolo 4 del Ddl, evidenziato anche dalla senatrice Cinzia Pellegrino (Fdi), che aggiunge all’articolo 316 del Codice civile due previsioni nei caso in cui i genitori non siano coniugati e si siano lasciati: il padre è tenuto a condividere con la madre ogni spesa relativa al parto, non coperta dal Ssn, in misura proporzionale alle risorse economiche di ciascuno e a provvedere al mantenimento di lei per un periodo di tre mesi nel caso in cui non sia provvista di sufficienti risorse economiche; nel caso in cui uno dei due manchi di mezzi per la propria sussistenza l’altro è tenuto a contribuirvi, tenuto conto delle sue personali risorse, per un tempo massimo di due anni, ovvero fino al compimento del terzo anno di età del figlio minore se tale durata è superiore ad anni due, fatta salva la cessazione dell’obbligo non appena il genitore beneficiario raggiunga l’autosufficienza economica.

Una previsione tanto dettagliata che Ada Lopreiato (M5S) ha però domandato: «Non rischia di incentivare il mancato riconoscimento del figlio, con il timore di un esborso economico?». La senatrice ha anche espresso perplessità sull’articolo 10 del disegno di legge, che riscrive l’articolo 337-septies del Codice civile stabilendo che l’assegno perequativo va intestato al figlio divenuto maggiorenne, se non economicamente autosufficiente, e che debba essere lui a concordare con ciascuno dei genitori il proprio eventuale contributo alle spese e alle cure domestiche. «Non si coinvolgono troppo i figli da decisioni da cui dovrebbero essere esclusi?».

Gianni Berrino (Fdi) ha invece contestato la lettura rigida dell’obbligo di doppio domicilio. L’articolo 6 del Ddl – ha rilevato – «dà ampia facoltà al giudice perché gli affida il compito di valutare come far sì che il minore passi più tempo o ugual tempo con uno o l’altro genitore. Non vedo una grande rivoluzione, ma anzi maggior coinvolgimento del giudice affinché abbia più libertà di stabilire con quali percentuali di tempo far trascorrere il tempo in una casa o nell’altra».

10.04.25

Condividi l'articolo