IL SENNO SULLA LUNA
Lucio Carraro *
Quasi sempre l’immagine che corre quando si pensa alla violenza sulle donne ha per protagonista un uomo bruto, senza cultura, un orco moderno sbucato dalle periferie o venuto da lontano, forestiero con la pelle diversa.
Ma è uno stereotipo che oscura la realtà. La storia e le cronache ci informano che a questa macabra saga partecipano anche i signori professionisti di tante categorie (universitari e immobiliaristi compresi), quelli che si presumono sapiens, acculturati e dotati di raziocinio.
Mi sono sempre chiesto dove sia situata la radice velenosa che muove la violenza di tutti questi uomini nei confronti della donna.
Dico questo perché il problema, in profondità, è molto complesso: non si tratta soltanto di istinto, della brama dell’impulso, con cui spesso si tende a giustificare il femminicidio più cruento e odioso, avvalendosi del binomio forgiato dagli azzeccagarbugli contemporanei, il cosiddetto “troppo amore” (alchimia linguistica per nascondere una menzogna allo stato puro).
No, c’è di più. Il verme che scava dentro il petto degli uomini guastando la radice dei suoi rapporti con il femminile ha un’origine storico-antropologica, è il frutto di un patriarcato che da secoli ha costruito un modo di vivere basato sulla discriminazione, prevaricazione, competitività, tutti fattori all’origine della deriva sociale e relazionale che stiamo vivendo.
Questo verme si chiama “possesso”. Dietro questo sostantivo si nasconde, ab ovo, la formula di questo male oscuro: l’uomo si sente titolare del diritto di proprietà sulla donna, come fosse una “cosa”. È un tarlo paradigmatico e inalienabile, che non ammette deroghe, per cui se la donna manifesta una benché minima richiesta di autonomia e ricerca d’identità, per l’uomo tutto questo diventa inaccettabile, incomprensibile, un’oltraggiosa lesa maestà.
Di fronte a queste pretese identitarie l’uomo va fuori di testa, venendogli a mancare il corpo e l’anima della donna come esercizio di potere: il suo senno, come quello di Orlando, emigra sulla luna, e il suo cervello spaesato si trasforma in un lugubre paesaggio di fantasmi e ossessive mappe di antica violenza. Questa è la ragione prima del perseverare della violenza dell’uomo sulla donna, di spaventosi fatti che accadono e che mai avremmo pensato potessero accadere.
La domanda è: c’è la possibilità di intraprendere un percorso diverso per decontaminare questo accumulo antropologico? Potrà mai l’uomo farsi Astolfo per recuperare il suo senno sulla luna?
Io iscrivo questo complicatissimo percorso nella nuova era che si sta aprendo, quella della “transizione ecologica”. Che possa cioè essere l’occasione storica anche per una bonifica ecologica della mente maschile, per colmare le sue lacune relazionali, la sua incapacità di prendersi cura del mondo.
Ma perché questo accada, perché si possa iniziare a scrivere una storia diversa, occorrono perlomeno tre condizioni fra loro intrecciate: che la donna sia, con un’azione sempre più intensificata, la protagonista di questa nuova epopea, in quanto presupposto per la riuscita della transizione ecologica stessa; che l’uomo assapori il gusto della marginalità, riappropriandosi dell’amore infinito delle piccole cose e ricostruendo una nuova alleanza con la natura; che la cultura si affermi come direttrice del futuro in un contesto neoumanistico, l’unico in grado di staccarsi dalla gelida superficie della tecnocrazia (e del patriarcato industriale) e di alimentare la frigidità maschile con il calore dell’affettività e l’umanità dei sentimenti.
“Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io / fossimo presi per incantamento, / e messi in un vasel ch’ad ogni vento / per mare andasse al voler vostro e mio / sì che fortuna od altro tempo rio / non ci potesse dare impedimento, / anzi, vivendo sempre in un talento, / di stare insieme crescesse ’l disio. / E monna Vanna e monna Lagia poi / con quella ch’è sul numer de le trenta / con noi ponesse il buono incantatore: / e quivi ragionar sempre d’amore, / e ciascuna di lor fosse contenta, / sì come i’ credo che saremmo noi.” (Dante Alighieri – Sonetto – Poesia LII Rime)
Lucio Carraro
*Postfazione di Cinzia Mion
Lucio Carraro, è stato un docente di scuola elementare alla scuola Carducci di Treviso, negli anni mitici dell’adozione del Tempo Pieno, quando questa tipologia di scuola era “sperimentale” ed attirava solo insegnanti fortemente motivati ed appassionati. Lucio fu uno di questi insegnanti e della creatività del suo gruppo in quel periodo si favoleggia ancora nel mondo della scuola. D’altro canto egli mette la passione in tutte le cose che ha fatto e che continua a fare. Oggi avviene nella sua professione di “scrittore”, come salta subito agli occhi leggendo la sua ultima produzione letteraria dal titolo evocativo: “L’odore del tempo”. Opera in prosa ma teneramente e nostalgicamente poetica.
Presentando il suo articolo “Il senno della luna”, dedicato al nostro sito del Centro Antiviolenza Telefono Rosa di Treviso, possiamo affermare che soltanto Lucio, noto nel panorama letterario trevigiano come un raffinato dicitore, avrebbe potuto trattare il tema così spinoso della violenza sulle donne dal punto di vista maschile, non accontentandosi di spiegazioni sbrigative e quindi scontate, ma scavando all’interno della costruzione dell’identità virile e i suoi meandri oscuri.
Possiamo perciò ringraziarlo per la sua disponibilità, per la forza delle sue immagini con cui prova a rappresentare questo fenomeno che ancora avvelena troppe volte le relazioni tra donne e uomini e per la delicatezza con cui termina il testo rievocando l’immagine rasserenante di un sonetto del “dolce stil novo”, che esaltava l’amore romantico e la figura femminile.
Grazie Lucio, per essere entrato in un centro di donne per le donne, in punta di piedi.